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Che la Pandemia abbia messo ko molte attività, specie nel settore dei pubblici servizi, non è un mistero. I dati del FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) sono emblematici in tal senso: su 334mila imprese circa, poco più di 22mila hanno cessato la loro attività, con le attività di ristorazione in prima linea di questa lista nera.

Eppure, un detto popolare dice che “in tempi di crisi che chi piange e chi vende fazzoletti” e le innovazioni nella ristorazione non sono mancate con le insegne virtuali che hanno iniziato a spopolare. A parlarci di come il termine “virtuale” si leghi al “franchising”, Fabio Rota, imprenditore nel campo della ristorazione, fondatore di Cucine di Quartiere & Virtual Restaurants Marketplace, torna a trovarci sul nostro blog.

Virtual food: il caso studio Mr. Beast

La digitalizzazione del punto vendita come l’importanza di una strategia omnicanale, sono alcuni punti che ho trattato nel libro Let’s Franchise.

Fabio, a tal proposito, cita un esempio di una strategia di digitalizzazione straordinaria che vede come protagonista uno youtuber, Jimmy Donaldson, 22enne conosciuto come Mr. Beast (oltre 70 milioni di fan sulle sue piattaforme social).

Cosa ha fatto Donaldson? In pratica ha proposto a ghost kitchen esistenti e a ristoranti tradizionali di cucinare hamburger e patatine secondo una sua ricetta, per poi promuovere il menu sui sui social e consentire gli ordini tramite un’app, che è andata in crash in pochi minuti. Il modello di business è semplice: Mr Beast fornisce ai partner, nome, logo, menu e ricette e materiale di comunicazione  (come farebbe un qualsiasi franchisor), in cambio di una quota sulle vendite:

«Chi sceglie “Mr. Beast Burger” non acquista per il cibo, né tanto per il  tempo o la comodità del servizio. Chi compra un hamburger da “Mr. Beast Burger” acquista un’esperienza social senza precedenti e anche la possibilità di vedere la propria foto con l’ordine ripostata sui social dell’influencer», spiega Fabio

Come i brand virtuali stanno cambiando la ristorazione

Facciamo chiarezza: le insegne virtuali sono così chiamate perché esistono unicamente sulle piattaforme di delivery o anche su piattaforme proprietarie. I menu che offrono possono essere in parte minima legati alla location fisica che li ospita, oppure possono essere sviluppati da zero, per intercettare delle opportunità sul mercato.

Un’offerta elastica, costi ridotti, velocità di esecuzione e duplicabilità, sono le caratteristiche che fanno delle insegne virtuali una grande opportunità imprenditoriale.

Un altro esempio virtuoso è NASCAR, la società americana che gestisce vari campionati automobilistici che ha sviluppato  in collaborazione con Virtual Dining Concepts, società leader nel campo dei virtual restaurant, un brand food dedicato ai propri tifosi. Ma gli esempi sono tanti e non mancano soprattutto nel mondo dei vip: anche la celebre cantante Mariah Carey ha lanciato la sua linea di biscotti:

«Quanto tempo ci vorrà per vedere anche in Italia esplodere i virtual brand di Serie A, Formula 1, Chiara Ferragni o Achille Lauro? Non si tratta più di food, ma è un business che racchiude comunicazione, senso di appartenenza, lifestyle ecc. », spiega Fabio.

Quali sono le strutture che ospitano brand virtuali?

Insieme a Fabio, passiamo ora in rassegna le strutture che permettono di operare attraverso brand virtuali, facendo chiarezza tra alcuni termini sui quali spesso si fa confusione, come dark e ghost kitchen:

  • Dark Kitchen: si tratta di uno spazio ricavato all’interno di una struttura/cucina già esistente (ristorante, hotel, pub, bar ecc.) dedicata alla produzione di cibo per il delivery. Di norma, opera con un solo brand.
  • Ghost Kitchen: è una struttura/cucina/laboratorio totalmente dedicata alla produzione di cibo per delivery e take-away che può essere sviluppata su diversi modelli di business. Tra questi distinguiamo:
  • Indipendente: si tratta di una singola cucina con un unico brand senza possibilità di accesso al pubblico. Normalmente l’attività è specializzata in un unica tipologia di cucina e può offrire i propri piatti solo in delivery sia attraverso gli aggregatori sia attraverso un canale proprietario.
  • Multi-Brand: ci riferiamo a una singola cucina senza accesso al pubblico con più brand che propongono un’offerta più variegata spesso sviluppata su differenti stili di cucina. Opera solo in delivery tramite aggregatori o canali di proprietà.
  • Ibrida: si tratta di una singola cucina con una offerta stagionale di un solo brand oppure con più brand per il delivery e con una zona takeaway destinata al pubblico. Anche qui la vendita avviene su più canali passando da aggregatori e canali di proprietà.
  • Cook Room Proprietaria: è progettata con più cucine separate al suo interno. Qui troviamo sia brand proprietari che partner affiliati. L’offerta viene proposta mediante una app di proprietà con un proprio servizio di consegna, escludendo altri aggregatori e senza accesso al pubblico.
  • Fully Outsourced: è il modello meno diffuso: una cucina/laboratorio indipendente che lavora producendo piatti pronti o da rifinire in un secondo momento. Gli ordini arrivano da aziende partner (B2B) che, a loro volta, riceveranno le ordinazioni e consegneranno al cliente finale (B2B – B2C). In questo modello non c’è nessun aggregatore, nessun accesso al pubblico, mentre il sistema di delivery/logistica è proprietario.
  • Cloud Kitchen: si tratta di una struttura che si sviluppa sul modello del “coworking”.  mettendo a disposizione più cucine indipendenti e spazi comuni (food hall) in cui sviluppare i propri brand a costi ridotti.La soluzione ideale per testare il mercato in tempi brevi.
  • Host Kitchen: è l’ultima novità, una struttura,  sia essa una dark/ghost/cloud kitchen ecc., che produce i piatti di brand esterni, non di proprietà, utilizzando la formula del franchising virtuale.

Franchising virtuale: i brand leader sul mercato

I brand nel franchising virtuale hanno già iniziato a correre: tra i primi a entrare nel mercato USA, NextBite, seguito da The Local Culinary: ognuno di loro possiede una serie di brand proprietari che hanno creato per potersi inserire all’interno di diverse categorie di locali.

In Europa è recentemente salita alla ribalta delle cronache la francese Not so Dark con 7 brand all’attivo ha chiuso recentemente un investimento di circa 20 Milioni di euro: tra i principali investitori troviamo il gruppo Qsr Platform (Burger King & Partners).

In Italia è attiva VirtualRestaurantMarketplace, una piattaforma di matchmaking B2B,  che connette i brand (tra i quali  Nathan’s Famous con oltre 78.000 location nel mondo) con quegli imprenditori/operatori che vogliono investire e sviluppare il proprio business attraverso il franchising virtuale o tradizionale:

«In futuro, non è da escludere, che il prossimo McDonald’s oppure Domino’s Pizza saranno brand nati in origine come insegne virtuali», conclude Fabio.

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