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Inizio quest’articolo con due concetti necessari oggi per chi fa franchising, che ho trattato in maniera super attuale nel libro Let’s Franchise: quelli relativi alla deliverizzazione e digitalizzazione della ristorazione.

Due driver oggi sulla bocca di tutti e con il vento in poppa.

E poi c’è un’altra  tendenza nel settore che sarà protagonista di quest’articolo, “dark kitchen”, due parole nelle quali puoi imbatterti sempre più spesso sui siti di informazione che trattano argomenti di delivery e di franchising.

Di  “dark kitchen”se ne parla così tanto, che sembra che ne nasca una ogni cinque minuti, ovviamente non è così.

Cos’è una dark kitchen?

In parole semplici, è una cucina senza sala ristorante che prepara piatti destinati al delivery. In Italia e nel mondo esistono da sempre: sono le pizzerie a domicilio.

Ma facciamo subito una precisazione sul tema del franchising delivery: c’è una differenza tra un ristorante tradizionale e un ristorante di food delivery, anche se a volte vengono scambiati per la stessa tipologia di business.

Ristorante vs food delivery

Il primo, il ristorante tradizionale, vende “esperienza”, mentre il secondo, vende “tempo o “comodità”. Tempo per evitare di fare la spesa all’ultimo minuto, tempo per preparare la tavola, tempo per cucinare, tempo per ripulire la tavola ecc ecc…

Quando si parla di pizza a domicilio ognuno ha una propria opinione su quale sia la migliore ma non esiste cliente al mondo che almeno una volta nella vita (o di più) non si sia visto recapitare una pizza tiepida oppure molliccia per i più svariati motivi. Ecco che se si parla di pizza a domicilio, chissà perché, ci facciamo andare bene il fatto che a volte sia appunto tiepida o molliccia; non capita sempre ovviamente ed alcune attività nel tempo hanno saputo limitare al massimo queste problematiche.

Ogni volta ci diciamo che cambieremo pizzeria o che “lì” non la ordineremo più ma, proprio perché il business del food delivery è il tempo (o la comodità), la volta dopo ci ricaschiamo perché se si abita in città le opzioni sono parecchie ma spesso per chi abita nei piccoli paesi di provincia la scelta è solo una.

Sappiamo tutti come funziona…

Telefoni oppure mandi “un whatsapp” ed un ragazzo della pizzeria si presenta a casa tua con l’ordine effettuato oppure arriva un “collaboratore” delle grandi piattaforme di food delivery che tutti ormai conosciamo e ti consegna la pizza ordinata.

Fino a ieri chi decideva di aprire una pizzeria a domicilio lo faceva quasi solo ed esclusivamente puntando sulla qualità del prodotto e probabilmente il livello di qualità proposto nella maggior parte dei casi era davvero alto, se consumata al tavolo di un ristorante un minuto dopo essere stata sfornata, ma stiamo parlando di pizza a domicilio dove i fattori in gioco sono totalmente differenti e dove la qualità del prodotto viene misurata nel momento in cui arriva effettivamente tra le mani del consumatore, a volte purtroppo con risultati discutibili.

 La rivoluzione delle dark kitchen

Mi piace pensare che quando si parla di dark kitchen o ghost kitchen o in italiano cucine remote (nel caso specifico stiamo sempre parlando nell’ambito delle pizzerie a domicilio) si possa fare molto di più e quando dico molto di più intendo “parecchio” di più!

Immagino un pizzaiolo di oggi, un imprenditore, che prima di aprire la propria attività dedicata al delivery o prima di creare l’impasto della pizza che andrà poi a proporre ai propri clienti, si chiederà:

1. Come la dovrò consegnare?

2. Chi la consegnerà?

3. In quanto tempo dovrà arrivare al mio cliente?

4. Quale packaging utilizzare?

5. Come acquisirò i clienti e come gestirò le ordinazioni?

6. Come trasformare il proprio fattorino in ambasciatore e rendere il momento della consegna un momento speciale?

7. Quali sono le possibilità di business che oggi il mercato offre per valorizzare il mio prodotto?

Quando si parla di food delivery ci si concentra troppo spesso sul food e meno sulla parte di delivery, per assurdo prima si dovrebbe decidere come far arrivare il piatto al proprio cliente e poi, in seguito, costruire il piatto ad hoc. Le risposte alle domande sopra citate ovviamente possono essere estremamente differenti e portare quindi a proposte differenti.

Un modello di food delivery differente

Giusto per fare un esempio (“un esempio”, non deve per forza essere così!) vi chiedo di immaginare con me una realtà differente…

Immaginiamo per un attimo una pizzeria a domicilio che sceglie di consegnare le pizze mediante una propria flotta interna, con mezzi elettrici che rispettano l’ambiente ed hanno costi di gestione bassi e che montano un baule termoregolato in grado di mantenere la pizza alla giusta temperatura durante tutto il tragitto e che i rider indossino una divisa riconoscibile legata al brand che rappresentano (brand awareness).

Immaginiamo un impasto studiato pensando al metodo di consegna, creando così un prodotto in grado di mantenere un alto livello qualitativo al di sopra dei normali standard.

Immaginiamo che l’attività utilizzi le grandi piattaforme di delivery solo per la funzionalità di marketing e che al tempo stesso promuova un sistema di ordinazioni proprietario su cui nel tempo, attraverso semplici e mirate operazioni pubblicitarie, riuscirà a deviare parte del flusso di ordini (dal 14% di commissioni a zero commissioni per ordine) e cosa ancora più importante gli servirà per raccogliere i dati dei propri clienti al fine di personalizzare al massimo l’offerta.

Immaginiamo che decida di utilizzare la funzione di “pre ordine” sulla propria piattaforma al fine di pianificare parte della produzione, abbattere gli sprechi, ottimizzare la gestione delle risorse e programmare al meglio le corse dei fattorini.

Immaginiamo che scarti l’opzione di ricevere ordinazioni attraverso whatsapp e che non consideri minimamente di riceverle via e-mail ma che decida di strutturarsi utilizzando una serie di piattaforme compatibili tra loro al 100% automatizzando non solo le ordinazioni da parte dei clienti ma anche tutta la parte di food cost ed ordini ai propri fornitori digitalizzando così tutto il processo produttivo.

Immaginiamo che la pizzeria non si limiti al solo business della consegna a domicilio della pizza come è sempre stato ma che individui nuovi modi per far arrivare il proprio prodotto nelle mani dei consumatori, ad esempio utilizzando una serie di vending machine poste in luoghi strategici (parchi, ospedali, coworking, centri commerciali, università ecc..) in grado di cucinare 2 pizze alla volta 24 ore al giorno per sette giorni la settimana oppure che decida di creare “box esperienziali” da recapitare ai propri clienti per poter vivere la magia di creare una pizza da zero, magari in compagnia.

Ora smettiamo di immaginare perché tutto questo è realizzabile oggi!

Infine ci terrei a puntualizzare che ho scritto questo semplice articolo con un solo scopo, quello di mostrare le cose sotto una nuova luce cercando di non limitarmi a ciò che si conosce,  ma cercando di andare più in profondità.

Il food delivery è infatti molto di più di come viene descritto e presto arriveranno sul mercato (qualcuno è già arrivato) i nuovi imprenditori del settore con idee ben chiare e decisi a riscrivere le regole del gioco in un comparto che al momento sembra, a volte, accontentarsi di andare avanti così come ha sempre fatto.

Scritto in collaborazione con Fabio Rota

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